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Pietro Toresani

Pietro ToresaniPietro Toresani era nato a Corteolona in provincia di Cremona, terzo di sette tra fratelli e sorelle. Era figlio di un ferroviere con una bizzarra abitudine: ogni sera, prima di dormire, attaccava un giornale alla finestra: se al mattino era bagnato vuol dire che pioveva e quindi metteva il mantello da pioggia; se era asciutto metteva solo a giacca; se il giornale non c’era più, tirava vento e lui metteva il mantello pesante.
La mamma di Pietro da piccola pascolava le oche e vide passare Garibaldi con la camicia rossa. Corse via urlando: “i diavoli, i diavoli”. Qualche anno dopo, anche se quasi analfabeta, su Garibaldi scrisse una poesia. Era una famiglia particolare.
Si trasferiscono a Milano per dare un avvenire ai figli. Pietro aveva voglia di vedere il mondo. Era un ottimo lattoniere e fabbro e girò praticamente tutta l’Europa. Imparò tutti i mestieri, fece anche il prestigiatore. Si era costruito una valigia con dei bicchieri fissati sul fondo e sul coperchio. Apriva la valigia, riempiva i bicchieri con diverse quantità di acqua e ci passava sopra il dito in modo da farli suonare. Suonava canzoni. Il viaggio per l’America se lo pagò proprio facendo il prestigiatore. Perché alla fine andò in America. In California. Gli capitò di passare per una strada con una curva pericolosa, dove capitavano sempre incidenti. Costruì una baracchetta, la sua prima casa. Cominciò ad aggiustare le macchine incidentate e pian piano diventò carrozziere.
Laggiù ha sposato una genovese.
Nel giardino della casa di Stokton, vicino a San Francisco, dove ancora vivono figli e nipoti, aveva un museo con tutti i ricordi della sua vita e tutti gli attrezzi da lavoro che portava con sé in una valigetta. Esiste ancora quella valigetta.
Dall’America ci ha sempre mandato cartoline. Ma non le comprava, le faceva lui: pigliava un cartoncino lo ritagliava e lo disegnava.
Pietro aveva nostalgia dell’Italia e tornò a casa per un periodo. Avrò avuto quattro o cinque anni, inizio anni Venti. L’uomo più buono che ho mai conosciuto nella mia vita. Lo ho adorato. Quando si mangiava, andavo carponi sotto la tavola e saltavo sulle ginocchia dello zio. In tutte le foto di quell’epoca ci sono sempre io in braccio a Pietro.
Appena la nave si stacca per tornare in America, gli vengono le palpitazioni: Ha vissuto tanti anni col mal di cuore”.

Dal racconto della nipote di Pietro, Matilde Toresani (Milano, 1921)

Il nome di Pietro Toresani compare alcune volte anche su Internet. Fu testimone, oltre che delle cannonate di Bava Beccaris, anche del disastroso terremoto di San Francisco del 1906. E ne scrisse sul suo diario. Stralci di quel diario, tradotti in inglese, sono riportati on line:
There was a big noise as if it was made by the devil, there was a concert of bottles, 40 glasses, a mandolin and a guitar (…) Then I lost courage and patience and evoking “mommy” and “daddy” repeatedly I threw myself again to the ground as if I had a disease, as if I was drunk. As soon as I came down the street, down from the hill, I didn’t see any houses standing anymore because everything had sunk, destroyed and fallen to the ground. Like a crazy man, I was looking here and there at an infinity of dead bodies horribly squashed, horses of any kind and quality wretchedly smashed! Then I thought that easily the same thing could have happened to me as it did to them!”.



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