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Inno del primo maggio – note storiche

“Questo bozzetto, perpetrato per ingannare la solitudine durante una delle molteplici prigionie preventive da me subite all’avvicinarsi del mese sobillatore degli animi e delle cose, restò poi dimenticato tra i molti scartafacci recanti l’inutile frutto de le ore perdute. Venuto con me, non so come, in America,  furono i compagni filodrammatici di Paterson che lo esumarono; ed al delitto d’autore vollero che aggiungessi quello d’attore. D’allora in poi, da Boston a Barre, da Barre a Chicago, e via via fino a San Francisco di California, e viceversa per gli Stati Uniti del Sud – quasi a simboleggiare il mio pellegrinaggio di propaganda nel Nord america – i compagni delle diverse città vollero rivedere sulla scena lo straniero misterioso che viaggia verso la parte donde si leva il sole”.
Così Pietro Gori, intellettuale, avvocato e poeta anarchico, racconta la genesi di questo canto, scritto nel carcere milanese di San Vittore nell’imminenza del 1° maggio 1892. 
 
Solo un anno prima che Gori scrivesse il suo inno, nel 1891, il secondo Congresso dell’Internazionale, riunito a Bruxelles, aveva deciso di rendere la ricorrenza permanente: il 1° maggio sarebbe stato la “festa dei lavoratori di tutti i paesi, nella quale i lavoratori dovevano manifestare la comunanza delle loro rivendicazioni e della loro solidarietà”.
Ma già da diversi anni, in particolare dai fatti di Chicago, quella data si era caricata di un significato profondo, intimamente legato alla rivendicazione della giornata lavorativa di otto ore.

Il 1° Maggio 1886 era stato indicato dalla federazione dei sindacati statunitensi come la data entro la quale gli operai americani si sarebbero rifiutati di lavorare più di otto ore al giorno. In dodicimila fabbriche degli Stati Uniti 400 mila lavoratori incrociarono le braccia. Tutto si svolse pacificamente, ma nei giorni successivi scioperi e manifestazioni proseguirono e nelle principali città industriali americane la tensione si fece sempre più acuta, soprattutto a Chicago, dove il primo maggio avevano manifestato in 80 mila. Il lunedì successivo, 3 maggio, in Haymarket square, la polizia e gli uomini dell’agenzia investigativa Pinkerton fecero fuoco contro i dimostranti, provocando quattro morti e decine di feriti. Il giorno dopo sul posto si radunarono oltre 20 mila persone. Al termine della manifestazione la polizia caricò la folla e una bomba venne lanciata contro gli agenti mentre si avvicinavano al palco per interrompere il comizio. Il fuoco venne nuovamente aperto sulla folla e alla fine si contarono otto morti e centinaia di feriti. Il giorno dopo a Milwaukee, nel Winsconsin, la polizia sparò ancora contro i manifestanti (operai polacchi) provocando nove vittime. Una feroce ondata repressiva si abbatté contro le organizzazioni sindacali e politiche dei lavoratori, con sedi devastate e arresti tra i dirigenti.
Per i fatti di Chicago sette noti esponenti anarchici vennero condannati a morte, nonostante fosse dimostrato che solo due degli imputati fossero presenti al momento dell’esplosione. Nel presentare l’accusa, la procura di stato disse ai giurati: “La legge è a giudizio. L’anarchia è a giudizio. Questi uomini sono stati scelti e selezionati per la gran giuria, ed indicati perché sono i comandanti. Non sono più colpevoli degli altri migliaia che li seguono. Signori della giuria condannate questi uomini, fate un esempio di loro, impiccateli e salvate le nostre istituzioni, la nostra società”.
Due di loro ebbero la pena commutata in ergastolo, uno venne trovato morto in cella, gli altri quattro furono impiccati in carcere l’11 novembre 1887

Dal discorso dell’anarchico August Spies:
“Nel rivolgermi a questa corte parlerò come rappresentante di una classe ai rappresentanti di un’altra. Inizierò con le parole pronunciate 500 anni fa (in una situazione simile) dal doge veneziano Faliero, che rivolgendosi ai giudici, disse: «La mia difesa è la vostra accusa, le cause del mio presunto crimine la vostra storia!».(…). Non c’è stata prova prodotta dallo Stato che abbia mostrato o anche solo suggerito che io conosca l’uomo che ha lanciato la bomba, o che io stesso abbia avuto qualcosa a che fare con il lancio. (…). «È l’anarchia sotto processo», ha ringhiato l’avvocato Grinnell. Se questo è il caso, Vostro Onore, molto bene; potete condannarmi, perché sono un anarchico. Io credo che il sistema delle caste e delle classi (…), questa forma barbarica di organizzazione sociale, (…) sia destinata a morire, per fare spazio a una società libera, volontaria, di fratellanza universale. Può pronunciare la sentenza contro di me, onorevole giudice, ma che il mondo sappia che nel 1886 dopo Cristo, nello Stato dell’Illinois, otto uomini vennero condannati a morte perché credevano in un futuro migliore; perché non avevano perso la fiducia nella vittoria finale della libertà e della giustizia! Chiamate i vostri boia! La verità, crocifissa in Socrate, in Cristo, in Giordano Bruno, in Hus, in Galileo, vive ancora. Loro e moltissimi altri ci hanno preceduto su questo sentiero. Siamo pronti a seguirli”.

Il testo dell’Inno del primo maggio è scritto sull’aria del “Va’ Pensiero”, coro del Nabucco di Giuseppe Verdi, eseguito per la prima volta a Milano il 9 marzo 1842, che divenne in seguito uno dei motivi più amati del Risorgimento. Ad accendere l’immaginario dell’epoca probabilmente fu soprattutto la scelta, rivoluzionaria dal punto di vista musicale, di affidare il ruolo di personaggio principale del coro a un intero popolo, quello ebraico in cerca di riscatto, piuttosto che ad un singolo protagonista.



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