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Siamo banditi – note storiche

Siamo banditi è un canto di Dario Fo con musica di Paolo Ciarchi, del 1970. Fu inserito nello spettacolo Vorrei morire anche stasera se dovessi pensare che non è servito a niente – Collages di monologhi e canzoni sulla Resistenza italiana e palestinese, in due tempi. Il titolo  dell’opera è tratto da una poesia, composta durante la Resistenza da Renata Viganò:
“Ma io vorrei morire anche stasera
e che voi tutti moriste
col viso nella paglia marcia
se dovessi un giorno pensare
che tutto questo fu fatto per niente”.

Il testo del canto di Dario Fo ha molte assonanze con un racconto di vita partigiana di Giulio Questi, Uomini e comandanti, tratto dal libro omonimo (ed. Einaudi pp.34 e seguenti). Ne riportiamo qualche passaggio:

“Il fienile era collocato in una piccola valle secondaria dal nome incerto (Valle del bergamino impiccato, ma anche del prete strozzato o della ragazza soffocata). Comunque, una valle sperduta e fuori mano, introvabile sulle mappe. Seguendo il sentito dire (che di volta in volta ne modificava il nome senza tuttavia alterare il concetto base), vi erano confluiti gli sbandati di zone lontanissime, ridotti a vagare per le montagne con le armi personali, alla ricerca di cibo e munizioni. Erano arrivati nella valle a due o tre per volta, alcuni soli, pieni di diffidenza. Dopo aver spiato a lungo, di lontano e ben nascosti, i movimenti del fienile, rassicurati dalla vistosa indisciplina del campo, si facevano avanti con un allegro saluto aggregandosi senza problemi alla compagnia. […] Alle dieci e ventisei una sassata colpiva l’anta di una finestra a cui si era affacciato il Comandante. Aveva gridato l’ordine di Adunata per una comunicazione importante. Sì in quel campo c’era un Comandante. il Capitano. Si trovava lì per un disguido storico, per una leggerezza politica, per un equivoco militare. Era un vero Capitano dell’esercito, superstite dell’Armir, Cavalleria motorizzata, funzioni di Ufficiale di collegamento, sfuggito con il suo attendente a una sacca sul fronte del Don, mezza orecchia persa per congelamento. […] Cercava di capire perché non fosse possibile imporre un vero comando militare a quella banda di scellerati che si trascinavano per il prato in attesa della carne messa a bollire dal Giapponese…”.

 



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