• Cinque per mille

    Se vuoi versare il tuo cinque per mille alle Voci di mezzo, il codice fiscale dell’associazione è: 97456710157.
    Grazie!

  • Accessi

  • Newsletter

Canti alla boara – note storiche

Brevi componimenti in dialetto e in endecasillabo, sono forme espressive contadine diffuse in Romagna e in parte dell’Emilia orientale, fino al Po. Si basano su scale modali medievali paragonabili a quelle in uso nel canto gregoriano e questo caratterizza la Romagna come una delle poche aree europee che conservano caratteri melodici così arcaici.

I “canti alla boara” (canti del bovaro che guida i buoi) erano utilizzati durante il lavoro di aratura nei campi ed eseguiti anche in altre occasioni di lavoro (“a la gramadora” per la gramolatura della canapa, “a la rastladora” per il rastrellamento del fieno, “a la sfuiadora” per la sfogliatura del gelso per i bachi da seta e la spannocchiatura del granoturco, “a la zaraladòra” per l’aratura, ecc.). Il bovaro scambiava il canto (quasi urlato per giungere lontano) con altri contadini che rispondevano a quel canto in un’alternanza di distici. Il canto è progressivamente scomparso nell’uso tipico in campagna con l’avvento della meccanizzazione in agricoltura e oggi si rinviene solo come ricordo tra i più anziani.

I tre “canti alla boara” qui riportati provengono rispettivamente da Galeata (Romagna), dal Polesine e dal riminese. Essi vengono eseguiti su una delle melodie più note e tuttora ricordate: quella tratta dal canto “O canta la sighéla ‘n te rastèle” (Canta la cicala sul rastrello), raccolta a Ranchio di Romagna (Forlì) nel 1954 da Alan Lomax e Diego Carpitella.

Il secondo brano è un esempio di “zaparesse”, canti di lavoro alla zappa, del Ferrarese.

La cavedagna è la strada di accesso in terra battuta lungo le testate dei campi.

Informazioni tratte da:
Avanti Popolo “Due secoli di canti popolari e di protesta civile” a cura dell’Istituto Ernesto de Martino – Hobby &Work
Wikipedia

 



  • cerca per categoria