L'Italia l'è malada – manoscritto
Un diario manoscritto di sei pagine: Pietro Toresani racconta, quasi minuto per minuto, delle cannonate di Bava Beccaris su Milano, maggio 1898.
Eccone la trascrizione:
La rivolta di Milano 7-8-9 maggio 1898
Milano, 6 maggio 1898. Ore 6 ½ – pom – venerdì. Questa sera proprio in via Antonio Bordoni d’ove quasi tre o quattro mille operai dai stabilimenti Elvetica, Pirelli, Miller ecc ecc. che appunto a quest’ora tutti se ne vanno alle loro case, stanchi dal gran lavoro e della misera paga che a quell’epoca gli industriali pagavano. Da qualche tempo già si udivano delle voci di propaganda, di scioperi e di più di sciopero Generale, che quest’ultima frase si propagava più sempre, e venne sino che proprio la sera del 6 maggio d’avanti allo stabilimento Elvetica, un gruppo di giovani qua e là nel mezzo a questi operai che sortivano dalle loro fabbriche, distribuivano certi manifestini secreti, cioè eccitando gli operai al sciopero Generale: tutti man mano venivano in posesso di questi biglietti che non cessavano di darli a tutti quei passanti, sino che quattro o cinque puliziotti borghesi, ruppero la folla, precipitando sopra ad uno di questi, sequestrandogli i suoi manifesti, poi arrestandolo. Qui nacque una furibonda baruffa fra questi puliziotti ed i lavoratori, che in breve tempo si udirono parecchi colpi di revolver uccidendo circa due o tre cittadini e ferendo a colpo di coltello qualche puliziotto figuratevi la folla a quale punto venne, quasi quasi di sollevar un’accanita guerra fra orghesi e poliziotti, che dopo questi accorsero anche i soldati di fanteria per finire e disbarazzare la folla, altrimneti continuavano sino al mattino. Tutti si sparsero e rincasarono, ma il cuore dei cittadini non era calmo, difatti verso le ore 10 della medesima sera migliaia di dimostranti discesero alla piazza del duomo, le vie gremite di dimostranti gridando: viva lo sciopero Generale, viva la libertà, e tutti si portavano alla grande piazza per dimostrare ciò che avvenne alla sera medesima, e quello che avrebbero fatto al sabato mattina.
Difatti venne il mattino del giorno 7, cioè sabato, le vie non si vedevano come al solito, cioè tutti gli operai che si recavano al lavoro, quel mattino neanche un terzo di lavoratori, tutti comprendevano di cosa si trattava, e coloro che andavano al alvoro, venivano insultati e sgridati dagli altri coi detti di: “cromiri, sfruttatori, canaglie:” dunque fui insultato me stesso, che camminai dal Corso Como 13 sino alla Piazza della vetra P.Ticinese per recarmi al lavoro, incominciai e lavorai sino alle ore 11 ½. Ogni tratto udivo gridi, colpi di fucile, rivolverate, sassate, sino al punto che una sassata venne a battere, e ruppe il vetro della nostra bottega, ecco che il mio Principale S.Ponti grida: Pietro… Pietro chiudi svelto, chiudi……!… in un lampo la mia bottega fu chiusa, ed al medesimo momento una folla di dimostranti mi intimarono di lasciare il lavoro, altrimenti mi avrebbero percosso, che fra questi non mancava pezzi di legno, bastoni, sassi ecc. ecc. Non mi feci ripetere due volte da questi, e preso la mia giacca e cappello mi avviai per recarmi a Casa mia. Quale spettacolo colpi dappertutto si udiva, schiamazzi, grida di tutte le qualità, arrivato al fondo della piazza vetra per sboccare sul Corso di P.Ticinese non potei passare, un amucchio di banchi da scuola facevano barricate che impediva ai soldati di passare però in un angolo un piccolo passaggio era abbastanza per sboccare sul corso Ticinese. Già stavo per passare e mi sento dei colpi di fucile a fischiarmi nelle orecchie. Lesto feci front indietro, e come fossi ferito in due salti voltai giù per la via Vetraschi, però mi guardai dapertutto e rimasi illeso, senza parola, spaventato, feci la via Vetraschi, e già ero giunto al Carobbio. Qui era possibile il passare perché i soldati armati sino ai denti rimandavano tutti quanti. Io chiesi a uno di questi di voler passare, attraverso le rovine, ed avrei preso la via San Sisto, mi fu respinto, chiesi di nuovo ad un altro soldato, che questi premuroso mi accompagnò sino all’angolo di via San Sisto. Bisognava arrestarsi un minuto a rimirare carri rovesciati, perfino una di quelle bonze (????) dela società vespasiana con tutta l’orina rovesciata sulla piazza, un vero spettacolo, lesto sciesi per la via San Sisto e non potendo sortire in via Gian Giacomo Mora, tagliai certe vie e in breve tempo mi trovai in piazza del duomo.
Giunto qui credo che diecimila dimostranti gremivano la piazza, mi intromisi fra questi per cercar di tagliare il mio cammino e portarmi al salvo, ecco che vedo un tenente di cavalleria furiato quanto mai, pretendeva di sgombrare i dimostranti calpestando la gente col suo cavallo, ma quanto prima uno fra i lavoranti gli scagliò una sassata che colpì il tenente proprio nella testa, questi subito ordinò il fuoco, poi lasciato le redini del cavallo cadde morto nelle braccia dei soldati.
Qui lesto feci per disbarazzarmi, che tremavo dalla paura, ed una scarica di fucilate piombava sopra ai dimostranti, uccidendone un bel numero. Non rimasi ferito, e preso la via broletto, in un quarto d’ora fui alla così detta Foppa: rimasi proprio sorpreso a vedere un’infinità di barricate, travi, assi, barili, ecc.ecc. La foppa era divenuta un vero forte di Makallé: la casa nuova di 4 piani era spogliata di tegole, gelosie, porte e fumaioli, tutto serviva per ammucchiare, e formare barricate; a stenti passai dall’altra parte, e mi fermai circa un quarto d’ora a vedere l’assiduo lavoro alla costruzione delle barricate. Dopo qualche istante udii uno squillo di cornetta, e vidi la cavalleria che dalla via Moscova veniva a gran carriera verso la foppa. Giunti qui, furono riscacciati a sassate, a tegole, a fumaioli, che man mano gettavano dai tetti e dalle finestre. Il capitano non fece altro che dare il comando di front indietro, alle risa, ed alle sassate dei dimostranti che non cessavano di scagliare sopra ai soldati, restandone fra loro molti feriti e morti. M’accorsi che la facenda veniva alquanto seria, e feci una corsa per recarmi a Porta Garibaldi.Curioso quanto mai, sul bastione di Porta Garibaldi con delle rotaie dei tramway stavano per incrociarle e formare delle barricate, mi fermai a vedere, una ventina di uomini portavano queste pesanti rotaie lunghe circa 10 metri, già stavano per formare una croce attraverso il bastione, quand’ecco una scarica di colpi partiva dalla foppa in direzione di porta Garibaldi, qui proprio accanto a me vidi cadere quattro o cinque disgraziati con le cervella frantumate, fuggii, e mi portai al salvo proprio sotto al dazio di P.Garibaldi, e i colpi di fucile non cessavano d’arrestarsi e battersi contro all’arco del dazio. Misi fuori il capo dal posto dove ero nascosto, vidi un uomo che di corsa veniva verso di me per salvarsi, lo riconobbi, questo era un negoziante di fieno e paglia di P.Garibaldi, che di frequente questo uomo lo vidi nei dintorni del Corso Como.Correva per porsi in salvo. Io gli dissi: “faccia presto! Diamine svelto!” il povero uomo giunto davanti ai miei piedi, precipitò a terra col capo dinamitato d’un colpo di fucile, ruzzolando in un lago di sangue. Io non ebbi più fiato e nemmeno vista, lasciai il posto, e fuggii a casa mia che i miei parenti mpazienti mi aspettavano. Ecco che vedo arrivare un carro a mano con quel povero uomo ucciso pochi istanti prima, e lo portarono qui dallo speziale vicino alla mia porta. Tutto era chiuso, ognuno era rinchiuso nella propria abitazione, mentre repplicati colpi di cannoni e fucili, non cessavano di distruggere e bombardare la città di Milano. I cannoni in vari punti della città detonarono per ben sì otto ore, e le fucilate sino alla domenica al dopo pranzo, si udiva ancora gli ultimi colpi, che poi tutto si ristabilì. Ebbimo pure uno stato di assedio della durata di 5 mesi, e a poco a poco si ristabiliva la quiete e l’ordine, notando la perdita di quasi un migliaio tra morti e feriti, ed un’infinità di processi dai 2, ai 10, ai 15 anni a tutti coloro arrestati in questi giorni di rivoluzione, e mandati a Portolungo o Finalburgo nelle reclusioni.
Immaginatevi la fortuna ch’ebbi del non essere responsabile di alcun fatto!…. !…….
Milano 6-7-8 maggio 1898 Pietro Toresani